di CM Gian Luca Cirina
Il CM Damiano Locci scrive un altro capitolo nella storia nel movimento scacchistico sardo. E’ dell’agosto di quest’anno la notizia della miglior prestazione in carriera di Damiano che a Barcellona, in occasione della XVI edizione dell’Open Internacional d’escacs de Sants, Hostfrancs y la Bordeta, ha ottenuto la norma di Maestro con due turni di anticipo. Dopo aver sconfitto un 2288 e pareggiato con 2 MI e due MF, lo scacchista isolano ha concluso l’ottavo turno con una performance di 2350 punti, valore purtroppo viziato da una vittoria al primo turno con un 1700.
Il curriculum di Damiano è di assoluto rilievo avendo portato alto il vessillo sardo ovunque abbia poggiato il piede. Nel suo passato vanta una partecipazione ad un Campionato del Mondo U16 ed un’altra al Campionato Europeo U14. Nel 2004 arrivò terzo ai Campionati Italiani U14 dietro giocatori del calibro di Dvirnyy e Bonafede (Alessandro Bonafede oggi è un forte MF in odore di far presto il gran salto verso MI, mentre Danyil Dvirnyy, diventato recentemente GM, è Campione Italiano Assoluto in carica). Nel 2006 si laureò Campione Italiano U16 in un torneo ricco di talenti: ben 7 dei partecipanti divennero Maestri. Nel 2009 Damiano disputò il torneo di Bergamo realizzando una performance di 2375 punti e battendo Salvador Roland che divenne GM appena un anno dopo. Nello stesso anno, ma in un altro torneo pattò con Romanishin, miglior risultato in partita singola. Si possono contare tanti altri score positivi con MF e MI. Ricordo, tra tutti, la vittoria contro MI Vuelban e Andrea Stella.
Per celebrare la straordinaria prestazione di Damiano ho pensato di contattarlo per farci raccontare un po’ di lui, tratteggiarne il personaggio e ripercorrere i passi salienti della sua ascesa.
G.C.: Damiano, permettimi di farti i complimenti per un risultato così prestigioso. Prima di affrontare la tua impresa, approfitto della tua disponibilità per far conoscere agli scacchisti isolani qualche curiosità su di te.
Iniziamo con le generalità. (Luogo e data di nascita. Studi. Sposato? Figli? Di cosa ti occupi? Hobby? Sport?)
D.L.: Ti ringrazio per i complimenti e per la più che generosa presentazione che mi hai fatto! Sono nato a Cagliari nell’aprile del 1990, frequento il secondo anno di specialistica in Scienze Politiche indirizzo relazioni internazionali, felicemente fidanzato ma per i figli è decisamente un po’ troppo presto! (sorride). A parte gli scacchi ho praticato per molti anni diverse arti marziali, attività che ho dovuto molto a malincuore interrompere per motivi di studio, e suono da sempre il pianoforte anche se a causa di tutti gli altri impegni ho sempre un po’ troppo trascurato.
G.C.: Gli scacchi sono stati definiti in tantissimi modi. Alcuni dei meno noti recitano: “La sublimazione della lotta per l’eccellenza” (Norman Lessing) oppure “Un peccato d’orgoglio” secondo John Bromyard. Cosa sono per te gli scacchi? Solo un gioco? Una mera passione? Un modo di esprimersi alla stregua di tutte le attività creative? Che altro?
D.L.: La domanda che mi fai è molto impegnativa, ma è anche molto bella e sono contento di provare a rispondere. Quando avevo 17 anni a questa domanda risposi associando gli scacchi alla forza. Qualcuno storse un po’ il naso quella sera, ma la mia definizione non si discostava poi tanto da quella di Lasker che intendeva gli scacchi essenzialmente come lotta, quindi esercizio e dimostrazione di forza. La forza è soprattutto quella mentale, ma in certi momenti della partita di torneo in cui sono richiesti tenacia, coraggio, concentrazione, creatività, parsimonia, pazienza, equilibrio, in quei momenti questo strano gioco sembra richiedere qualcosa che va oltre al mentale e sconfina nello spirituale. Poi tutti i veri giocatori da torneo conoscono sulla propria pelle quanto sia sottile la linea che divide uno sforzo mentale costante e prolungato nel tempo, da uno sforzo fisico. Quindi se forza fisica mentale e spirituale hanno confini così incerti che le dividono l’una con l’altra, si può dire che gli scacchi mettono alla prova l’uomo su tutti i piani. Se dovessi provare a rispondere oggi direi che gli scacchi sono qualcosa di diverso per tutti quelli che lo praticano: per qualcuno sono un hobby, un’arte, per qualcuno una scienza o comunque una materia di ricerca e di studio, per qualcuno un lavoro! E tante cose quanti sono coloro che praticano gli scacchi. Se dovessi parlare di quello che gli scacchi NON sono, colgo l’occasione per destare un po’ di scandalo fra molti appassionati affermando che non ritengo gli scacchi uno Sport. Questo argomento sembra essere quasi un nervo scoperto per molti scacchisti che spesso si lanciano in brillanti speculazioni per convincere i ‘’non scacchisti‘’ del fatto che gli scacchi siano uno sport alla stessa stregua del calcio, o del basket o della pallavolo, lasciando gli sfortunati puntualmente basiti e interdetti. Innanzitutto penso che le parole nelle diverse lingue assumono il significato che i membri di una comunità linguistica gli attribuiscono nell’ uso comune, ovvero il significato corrente. Lo dimostra il fatto che le parole possono cambiare il loro significato nel tempo. Quando vogliamo conoscere il significato di una parola, quindi, non possiamo prescindere da quello che è il suo significato nell’uso corrente, ovvero ciò che questa parola nell’immaginario collettivo rappresenta. Di solito in questi casi è utile consultare un buon dizionario, possibilmente recente. Il mio buon dizionario Garzanti descrive sport come ‘’insieme degli esercizi fisici che si praticano, in gruppo o individualmente, per mantenere in efficienza il corpo ’’…‘’ gareggiando con altri/insieme di esercizi fisici in forma di gioco, individuale o collettivo, che obbedisce a determinate regole’’. Gli scacchi possono soddisfare solo alcuni aspetti di questa definizione, ma non tutti. In particolare gli scacchi non prevedono esercizi fisici e la loro pratica non è neanche lontanamente sufficiente a garantire una buona salute fisica se non accompagnata da altre attività, prettamente fisiche. Le argomentazioni più disparate secondo le quali gli scacchi, in quanto richiederebbero uno sforzo anche fisico, sono un esercizio per il corpo e quindi sono da considerare alla stregua di sport dove si salta o si correre è per la verità molto debole e pretestuosa: per la definizione di sport la presenza di un qualsivoglia sforzo fisico è probabilmente necessaria, ma mai sufficiente! Tante attività provocano sforzi fisici: sedersi su una scrivania per 5 ore a risolvere difficili problemi di matematica, o trascorrere 8 ore di una giornata lavorativa seduti sulla poltrona a compilare pratiche, richiederebbe penso altrettante energie fisiche di quante ne richiedono una seria partita a scacchi di torneo, ma nessuno ha mai pensato di riferirsi a simili attività come a qualche nuovo tipo di sport. Allora dove sta l’ambiguità? Dove l’equivoco? Gli scacchi sono una splendida attività agonistica. La coppa, la medaglia, la classifica, i punteggi, i premi, sono tutti elementi comuni a moltissimi tipi di sport, agli sport agonistici: il giocatore/atleta scacchista si sobbarca spese di trasferta, fa viaggi, gareggia e compete con gli altri per l’assegnazione di diversi premi che (se sarà fortunato) gli verranno riconosciuti al termine della gara attraverso una cerimonia di premiazione. Tutti elementi tipici dello sport, ma se ci pensate non tutti gli sport sono agonistici! Pensate al footing, sport che diventa sempre più diffuso: fatto in solitaria o in compagnia, allo scopo di ricevere un beneficio fisico e magari anche mentale, legato al rilassamento. Io ho praticato diversi tipi di arti marziali, nel momento in cui facevo gli allenamenti e svolgevo determinati esercizi io praticavo come sport un’attività che mi procurava dei grandi benefici sia fisici, che mentali, ma non tutte le arti marziali prevedono delle attività agonistiche! Alcune sono troppo pericolose per essere praticate agonisticamente, e non prevedono neanche combattimenti amichevoli da svolgersi all’interno della palestra stessa fra compagni. Allo stesso modo esistono tantissimi tipi di attività agonistiche, i più disparati, ma non tutte le attività agonistiche possono essere definite sport! Quasi qualsiasi tipo di attività umana può diventare un’attività agonistica: pensate per esempio alle grandi gare di abbuffate, ai campionati di corsa delle macchinine radiocomandate. Altro equivoco il significato della parola sportivo, la sportività: gli scacchi prevedono un insieme di regole da rispettare, anche un certo codice di comportamento come per esempio lo stringersi la mano all’inizio ed al termine di una partita di torneo, ma la sportività intesa in questo significato basta a determinare cosa sia uno sport e cosa no? La sportività può esistere all’interno di un contesto di lavoro? O in un qualsiasi altro contesto di interazione umana? Per tutti questi ed altri motivi ritengo che non sia corretto definire gli scacchi come uno sport, anzi ritengo che coloro che promuovono questa credenza ai più alti livelli lo facciano per interesse: qualcuno ritiene che definire gli scacchi uno sport possa consentire alle federazioni di far parte del CONI per esempio, o di ricevere sovvenzioni speciali e quindi di conseguire vantaggi economici. Io non solo ritengo che gli scacchi non abbiano alcun bisogno per affermarsi socialmente, di appropriarsi dell’etichetta di sport, ma ritengo che questa strada scelta dalle federazioni non sia soddisfacente neanche dal punto di vista economico e pubblicitario: gli scacchi sono il gioco più praticato al mondo, e sono un’attività di grande interesse intellettuale e culturale che stimola la mente e può produrre grandi benefici per chi la pratica con serietà, per questo ritengo che gli scacchi sarebbero molto più valorizzati se promossi come attività artistica o culturale, piuttosto che come uno dei tantissimi, e spesso anche banali, sport.
G.C.: C’è un giocatore di livello mondiale, del presente o del passato, il cui gioco è stata fonte di ispirazione per te? Raccontaci di un campione a cui ti senti legato per affinità stilistica.
D.L.: Tra i campioni del mondo solo recentemente ho avuto modo di apprezzare il gioco di Alekhine, che mi ha colpito profondamente. Per il resto, sono sempre stato più legato (forse anche per una questione di simpatia) ad un gruppo di grandi maestri che, seppure non sono mai stati sulla cima dell’olimpo scacchistico, sono considerati delle vere e proprie leggende. Se dovessi scegliere fra questi “outsider”, quello che mi ha influenzato più di tutti è Kortchnoj: il suo stile non era il più bello da vedere, ma neanche la sua storia è stata sicuramente la più facile e forse si è riflessa anche nel suo modo di giocare. Le sue grandi qualità erano una grande forza d’animo e tanta tenacia.
G.C.: Damiano, tu sei un felice prodotto dei vivai scacchistici sardi. Potremmo dire che la tua affermazione nell’Isola viene a cavallo tra un passato costituito da giocatori di età mediamente più avanzata, protagonisti di un gioco più “naif” e una nuova generazione di ragazzini dotati, seguiti e scacchisticamente colti. Cronologicamente, mi piace considerare la tua esperienza come il logico anello di congiunzione tra questi due modi di “fare” scacchi.
D.L.: Si, mi riconosco pienamente in questa tua definizione. I giocatori della mia età hanno vissuto un passaggio importante e rivoluzionario della storia scacchistica: non penso solo all’arrivo dell’orologio elettronico e quindi dell’incremento, ma anche al ruolo del computer nella preparazione a casa e nel pre-partita. Se penso agli scacchi come erano 10-11-12 anni fa, mi accorgo di quanto l’evoluzione tecnologica con l’arrivo dei grandi database, di motori scacchistici sempre più forti e anche dei computer portatili sempre più potenti, abbia cambiato il modo di essere scacchisti. Chi ha iniziato a giocare da poco ed è giovane ha potuto avere accesso a queste risorse fin da subito, ma nei primi anni 2000 l’idea di prendere lezioni di scacchi tramite Skype era qualcosa di impensabile per i più, come anche l’idea di preparare una variante d’apertura con l’ausilio di forti motori scacchistici.
G.C.: Scacchi in Sardegna. Tu sei un giocatore molto amato, i tuoi modi sono sempre cortesi e apprezzati. Eppure credo, dal punto di vista agonistico, ci sarà certamente un giocatore che rappresenti la tua nemesi. Mi riferisco ad un giocatore con il quale hai disputato delle battaglie ed il cui scontro non è paragonabile a quello con nessun altro. Una sana rivalità e stima, con chi e perché? Raccontaci qualche aneddoto.
D.L.: Il maestro cagliaritano Isacco Ibba, quando avevo piu o meno 13 anni, mi ha seguito per circa un anno con costanza insieme ai fratelli Luca e Silvia Lai e per un periodo insieme ad un’altra giovane giocatrice, Martina Ponti. Ricordo che in quegli anni rappresentava, almeno per me, una sorta di traguardo da raggiungere ed il rapporto con lui per noi non si esauriva unicamente in quelle lezioni settimanali che facevamo. Poi lui aveva sempre un modo di provocare, di stuzzicare, che accompagnato in quegli anni ad una netta superiorità nel gioco, stimolava e accresceva il desiderio di raggiungerlo e superarlo, quindi batterlo. Il destino di una persona che assume un ruolo del genere con degli adolescenti è anche quello di essere rinnegato in un certo senso: condizione necessaria per l’affermazione è la negazione! Il suo modo di essere provocatore e istigatore non permetteva subito di riconoscere le sue buone qualità, e qualche volta (dopo essere stato magari lungamente punzecchiato) in tante discussioni penso di avergli detto anche cose che non pensavo! Ma da questo punto di vista si è anche sempre dimostrato un ‘’ maestro paziente ‘’, e tutto sommato posso dire che siamo sempre stati, e siamo ancora, ottimi amici. Isacco è stata la figura decisiva nella mia crescita scacchistica.
G.C.: Mi sembra che la tua attività nell’Isola si sia ridotta mentre riservi qualche capatina oltremare. E’ corretta la mia considerazione? C’è un motivo particolare?
D.L.: E’ assolutamente corretto. Ormai è già da molti anni che gioco in Sardegna solo sporadicamente: l’ideale per migliorare a scacchi è confrontarsi contro avversari più forti, e non per un solo torneo all’anno, ma in tutti i tornei ai quali si partecipa. Prima di compiere i 18 anni, sia per un discorso di età che per il fatto di vivere in un’isola e quindi di dovermi spostare in aereo, non avevo la possibilità di andare frequentemente lontano da casa per giocare tornei di scacchi: potevo farlo solo in qualche rara occasione accompagnato dai miei genitori, anche perché non c’erano altri giocatori sardi che partecipavano frequentemente ai tornei fuori e quindi sarei stato costretto a partire sistematicamente da solo. Appena ho avuto la possibilità di spostarmi in autonomia, l’ho colta subito e quando da solo, quando con amici magari provenienti da altre parti d’Italia, ogni anno cercavo di fare qualche torneo fuori compatibilmente con gli impegni di studio. Poi avendo poco tempo a disposizione a causa delle tante attività, lo studio principalmente, non avrei potuto comunque fare tutti i tornei, quindi mi trovavo nella condizione di dover per forza operare una scelta. Sono considerazioni di ordine pratico, non c’entra il sentirsi superiori o inferiori ad altri giocatori: in una partita singola si può perdere anche contro un avversario sulla carta molto più debole, e questo può accadere anche più di una volta, ma sono convinto che anche quando si perde, se si ha perso contro un avversario davvero forte, un grande maestro per esempio, si può riuscire ad imparare molto di più. Attraverso gli scacchi ho anche colto la possibilità di coltivare delle buone e sincere amicizie al di fuori dell’isola, e di vedere tanti bei posti che non avrei avuto altrimenti modo di visitare.
G.C.: Di fronte alla vita dello scacchista c’è sempre il momento in cui ci si trova davanti un muro insormontabile. C’è un ostacolo che ti impedisce di fare la differenza e che sembra difficile da superare. Ora hai ottenuto la norma di M. Quando e come hai realizzato di aver scavalcato il muro?
D.L.: Diverse volte da quando gioco a scacchi ci sono stati dei momenti in cui ho sentito di aver scavalcato il muro. A Barcellona dalla quarta partita in poi mi sentivo come se tutto sarebbe andato bene, e come se le mie mosse scorressero naturalmente una dopo l’altra. Durante tutto l’arco del torneo ho fatto in modo di concentrarmi non sul risultato, ma sulla prestazione: mi ripetevo, oggi devo giocare bene, devo trovare mosse buone, devo giocare la mossa buona, devo capire la posizione, capire cosa devo fare… In passato spesso è stato il pensiero del risultato a condizionare troppe mie partite, sia contro avversari più forti che contro avversari più deboli. Cambiare questo tipo di atteggiamento negativo penso sia stato il muro che ho saltato a Barcellona.
G.C.: Gioco online e motori. Come utilizzi questi potentissimi strumenti e come ritieni debbano essere sfruttati?
D.L.: Il gioco online è una grande possibilità: è uno strumento molto potente e ci avvantaggia grandemente rispetto ai giocatori del passato. Ai principianti neofiti, e qualche volta anche a giocatori di categoria nazionale, consiglio spesso di provare a giocare ad un minuto: si possono fare tante partite e provare tante volte gli stessi schemi, si allena il colpo d’occhio e si costringe noi stessi a giocare con il massimo della concentrazione. Ma raggiunti determinati obbiettivi questa pratica rischia di inaridire il gioco, e per questo ad un certo punto è meglio smettere: soprattutto smettere di arrabbiarsi quando si perde! So che qualcuno ha pensato “stai parlando di me…” (sorride). Dopo la fase bullet, consiglio di giocare a 3 minuti perché lo trovo un tempo ragionevole per giocare una partita di livello minimamente accettabile (sarebbe meglio 3+1 ma non piace a nessuno purtroppo ). Anche i motori sono un utilissimo strumento: ci consentono di scoprire cose delle nostre partite che non avremmo neanche mai immaginato, e ci mostrano che certe mosse o certi piani in apertura sono decisamente da evitare, risparmiandoci tante brutte sconfitte e anche qualche brutta figuraccia. L’esperienza insegna come usare correttamente questo strumento: innanzitutto non sempre riescono ad identificare degli errori strategici anche gravi, grazie alla loro capacità di mantenere in equilibrio grazie alla tattica posizioni strategicamente inferiori, e soprattutto se non avete un computer davvero potente non fidatevi troppo nel preparare lunghe e complicate varianti di apertura da studiare a memoria… un computer più potente del vostro potrebbe anche lasciarvi di stucco!
G.C.: “Discorso sul Metodo”, direbbe Cartesio. Quanto è importante avere un metodo di allenamento? Quali ritieni gli errori più comuni o quelli di cui sei lieto di esserti liberato?
D.L.: Avere un metodo di allenamento buono ed efficace è una cosa molto importante: purtroppo solo l’esperienza insegna qual è il metodo più adatto a noi, perché per tutti è diverso, e non penso ce ne sia uno che vada bene per tutti. La cosa più importante secondo me per un buon metodo di allenamento è che riproduca spesso le condizioni di una partita da torneo: per esempio la soluzione di un diagramma, il calcolo di varianti, la scelta posizionale. L’allenamento buono è quello che ti obbliga ad usare la testa.
G.C.: Basta farsi quattro chiacchiere nei circoli per scoprire che gli scacchisti ambiziosi hanno un coach o prendono lezioni online, un fenomeno in espansione. Tu sei seguito o sei stato mai seguito da un giocatore di categoria magistrale? Quali le persone cui ti senti più grato per la tua crescita scacchistica?
D.L.: Ho avuto la fortuna di essere stato seguito da diversi ottimi giocatori! Ricordo che quando avevo 11 anni Gianmarco Mulas mi insegnò molte cose, tra cui l’Apertura Inglese che continuo a giocare tuttora, gli sono molto grato. Isacco l’ho già citato, anche Alessio Casti quando ero giovane fu disponibile per molte serate a base di partite lampo e le ricordo con nostalgia! Dopo che a 16 anni vinsi il campionato italiano giovanile U16, fui seguito dal Maestro Internazionale ed ottimo istruttore Giulio Borgo: nei periodi in cui ero un po’ più libero durante il liceo facevamo delle lezioni, ma dopo l’ingresso all’Università purtroppo i nostri ‘’incontri virtuali‘’ divennero più sporadici, fino a che dovetti interrompere. In ogni caso fu per me un punto di riferimento importante e gli devo tantissimo. Più o meno nel periodo in cui stavo completando il ciclo di studi della triennale, ho deciso di giocare un po’ più spesso ed ho preso delle lezioni da un mio amico, il MI Daniele Genocchio: era molto diverso dal mio precedente maestro come stile e come punti di vista su molte questioni, e fare delle lezioni con lui penso che mi abbia arricchito molto.
G.C.: Il torneo. Damiano, ho visto la tua partita con Gonzalez (2288). Devo dirti che, a parte i fuochi d’artificio in zeitnot, personalmente ho apprezzato molto mosse “profonde” come 11.Dd2 o 13.dxc5 che denotano la tua maturità posizionale. Ti chiedo, un Damiano Locci di 2 anni fa avrebbe vinto questa partita? Credi di aver raggiunto il tuo apice?
D.L.: Ti ringrazio! Non sono sicuro che 2 anni fa avrei vinto quella partita, anzi è probabilissimo che l’avrei persa. Due anni fa o anche prima la mia abilità nel calcolo credo che fosse più o meno la stessa, ma non mi sforzavo di costruire la posizione: ad ogni mossa cercavo di giocare la mossa dal punto esclamativo, la mossa forzante che doveva risolvere la posizione, non avevo pazienza. Grazie alle lezioni con Genocchio e leggendo vari libri tra cui quelli di Alekhine, ho capito l’importanza di preparare la posizione, e di sferrare la mossa dal punto esclamativo soltanto nel momento giusto, quando è tutto pronto. Grazie anche a qualche brutta esperienza adesso sono molto più responsabile anche nella scelta delle aperture da giocare: sia contro i giocatori più quotati che contro i meno quotati. Credo fino ad adesso di non aver mai giocato meglio di così, anche se il mio punteggio Elo non è d’accordo, ma mi auguro che lavorando sodo riuscirò ancora a migliorare di molto il mio livello, perché non sono ancora soddisfatto del mio gioco.
G.C.: Damiano, vincendo questa partita brillantemente ed in zeitnot hai dimostrato grande forza di volontà. Immagino non sia facile reggere la tensione in partite ripetute di alto livello e mantenere sempre alta concentrazione e determinazione. Quali sono state le difficoltà in questo torneo? Hai qualche aneddoto da raccontarci?
D.L.: In questo torneo si giocava una sola partita al giorno ed ogni avversario era titolato. Era di decisiva importanza scegliere bene l’apertura da giocare ad ogni partita e fare una buona preparazione. Dedicavo alla preparazione tutta la mattina e parte del primo pomeriggio dato che si giocava alle 16.30 . Essendo un torneo di dieci turni dove il tempo era 90 minuti per quaranta mosse, più mezzora, più i trenta secondi a mossa, dove si giocava una partita al giorno e tutti gli avversari erano impegnativi, verso la fine incominciavo ad accusare la stanchezza e purtroppo ho perso le ultime due partite. Nella penultima partita contro un maestro fide con 2340 di Elo nel finale ho avuto una insperata ed immeritata opportunità di portare a casa il mezzo punto, ma purtroppo, già rassegnato alla sconfitta, non l’ho colta. Non posso recriminare niente di quelle due partite e tanto meno imputare le sconfitte alla stanchezza dato che i miei avversari erano nettamente più forti di me, ma mi è dispiaciuto perdere gli ultimi due turni di un così bel torneo, specialmente l’ultima partita contro un Maestro Internazionale con 2300 elo, dove ho giocato decisamente male.
Aneddoti ce ne sarebbero tanti da raccontare: dividevo l’appartamento insieme ai miei compagni di spedizione Federico Giannoni ed Axel Delorme (ottimi cuochi!), Alban fratello di Axel ed una coppia di fidanzati, lui francese e lei turca. Una sera insieme anche ad altri nostri amici francesi siamo andati a mangiare in una tavola calda vicino alle Ramblas, io e Federico siamo tornati a casa in taxi e ci siamo fatti portare in una strada vicinissima al nostro appartamento, del quale non ci ricordavamo il nome della via… Non so quante ore siamo rimasti a girare per quelle strade, siamo riusciti a tornare a casa solo verso le 4.30 del mattino… Il nostro appartamento sarà stato in linea d’aria neanche a 500 metri da dove ci ha lasciati il Taxi.
G.C.: L’ultima domanda è d’obbligo. Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
D.L.: Scacchisticamente parlando, dato che sono Candidato Maestro da quasi dieci anni ormai e che sono riuscito a fare questa norma, mi piacerebbe raggiungere i 2200 punti Elo e quindi conseguire il titolo di Maestro il più presto possibile. In un futuro prossimo vorrei riuscire a diventare almeno un buon Maestro Fide. Per raggiungere questo traguardo penso che sarà necessario molto lavoro e giocare molti forti tornei, dopo di che non so se avrò l’opportunità di progredire ulteriormente: dipenderà dall’esito del mio corso di studi e dal mio futuro lavorativo che per me come per quasi tutti i giovani della mia età resta molto nebuloso e incerto.
G.C.: Grazie Damiano. Spero di risentirti presto per testimoniare una nuova impresa.
D.L.: Grazie a te, speriamo bene! Ad Maiora!